lunedì 28 gennaio 2019

Quando il libertino si converte all'amore

Tratta dal film Il libertino

Il Libertino (The libertin) è un film che potrebbe farci immaginare un luogo molto lontano dal sentimento amoroso, ma non è così. Uno straordinario Johnny Depp dà vita alla storia vera di un personaggio reale: John Wilmot, secondo conte di Rochester, poeta alla corte di Carlo II d’Inghilterra in un momento storico, il Seicento, in cui il vizio e la lussuria imperano. Nella prima parte della pellicola, e anche oltre, l'erotismo fine a sé stesso si impone nelle movenze dell’interprete dedito come lui stesso afferma, al vino, al sesso e alla produzione di versi poetici eccellenti ma che mai lo porteranno al successo a causa del suo eccessivo dedicarsi al libertinaggio. Questo spingersi all'estremo, di un uomo che cerca il godimento fisico senza mai trovare un vero stimolo vitale che lo possa far diventare un vero scrittore, è utile per mostrare la potenza dell’innamoramento.
John, il libertino, giunge di colpo nel territorio dell’amore: innamorandosi scopre quello che non aveva mia conosciuto: la passione del corpo unita a quello dell'anima. E, mosso da questo potente impulso creativo, aiuta un'attrice a diventare una vera star; investito dal desiderio di far nascere talento con uno spirito autenticamente maieutico va oltre e diventa una nuova persona. La sua vita acquista significato, non è più un uomo succube di un piacere esasperato, diventa un essere umano che ha scelto di amare una sola donna, l’attrice a cui si dedica, per la quale è pronto a sacrificare il suo tempo.
Gli altri aspetti del film cadono in secondo piano rispetto all’ennesima manifestazione del vero innamoramento e della sua capacità di attuare il cambiamento. La vita di questo uomo si ribalta, subisce una vera e propria rivoluzione quando, alla ricerca di un’autentica emozione nella sua vita vuota di sentimento, il conte si impegna per un progetto: vuole cambiare, cerca qualcosa su cui investire il suo talento, trova e conosce la passione per una donna. Incontra l’amore e perde la vita a causa della sifilide, ma non prima però di essersi convertito al cristianesimo: una testimonianza della sua trasformazione autentica.

Maria Giovanna Farina

domenica 27 gennaio 2019

Quando la donna seduce

Diva, particolare, acquarello di Daniela Lorusso

Sedurre significa condurre a sé, attrarre l’attenzione di qualcuno sulla nostra persona. Nel campo dell’amore la seduzione è parte integrante di un gioco al quale è bello partecipare, ma anche in questo caso le dovute cautele nonché una certa competenza ci possono aiutare a non lasciarci inghiottire da una seduzione ingannatrice.
La seduzione femminile è un’arte della conquista che si manifesta in quattro grandi gruppi: sedurre per attrarre l’innamorato, sedurre per desiderio sessuale, sedurre per divertimento e sedurre per scopi venali.
La seduzione parte dalla vista, l’amore stesso è visione del bello come ci ha insegnato Platone e ogni qualvolta contempliamo la bellezza, che non è pura e sola perfezione estetica, ma va oltre l’immagine per giungere all’anima, noi entriamo nel territorio di Eros. La stessa forza dello sguardo la si trova nella poesia medioevale dove la donna-angelo ha un potere seduttivo generato dallo sguardo. Se gli occhi sono la prima grande fonte della seduzione, il resto del corpo non è da meno. Lo è con le movenze, con l’accavallare con maestria le gambe protendendo la caviglia lasciandola in bella mostra e lo è con movimenti sinuosi delle mani durante la conversazione.
La seduzione legata all’amore è la più completa nel suo porsi uno scopo alto, quello di essere amate da chi si ama. Il mostrare il corpo erotico anche con un abito sapientemente provocante è solo un aspetto, perché le donne che amano sanno attrarre l’uomo con un mix di candore ed erotismo: la seduzione è infatti un insieme di corpo e mente teso e proteso verso il proprio uomo.
Ci sono donne che seducono per puro divertimento come la Mirandolina di Goldoni, una giovane cameriera capace di far capitolare il cavaliere di Ripafratta dedito al celibato con estrema convinzione, ma una volta ottenuta la vittoria lei, signora e padrona della conquista, abbandona il campo e sposa il cameriere Fabrizio. Goldoni nella prefazione della commedia mette in guardia gli uomini dalle illusioni e dagli amari tranelli che le donne sanno, con somma astuzia, architettare. Le donne sono artiste della seduzione perché dalla notte dei tempi pensano e progettano la conquista di un lui.
La seduzione legata ad ottenere qualcosa in cambio, soprattutto se si tratta di vile denaro, è un voler attrarre legato alla mercificazione di sé e per questo sembra basarsi solo sull’esposizione del corpo impreziosito da un abbigliamento eccitante per il maschio, in realtà anche in questa forma di seduzione entrano in gioco altre componenti. Per attrarre un uomo, la donna abile seduttrice studia il suo interlocutore sessuale cercando di scoprirne i gusti, i punti deboli e sensibili per riuscire nel suo intento. L’emblema di una simile donna fu Cleopatra, narcisista ed astuta, utilizzava il suo sex appeal per ottenere dagli uomini ciò che voleva. La regina d’Egitto pare non fosse neppure così bella come l’abbiamo conosciuta attraverso il volto di Liz Taylor, ma sapeva sedurre conquistando, tra gli altri, Cesare e Antonio. La differenza fondamentale con la donna innamorata sta nel fatto che quest’ultima non programma nulla, ma agisce spinta da una creatività spontanea nata dal sentimento provato per l’uomo: fargli piacere e condurlo a sé è un movimento reciproco non finalizzato e tanto meno egoistico. L’amore accompagna a ricercare il piacere dell’altro che diventa piacere di sé in un continuo scambio di ruoli.
Se l’intento del sedurre è dettato solo dal desiderio sessuale, dove la componente sentimentale è assente, l’erotismo è concentrato più sul corpo e la sua capacità di eccitare il partner. Una rappresentante storica di questo profilo di seduttrice femminile fu Messalina, imperatrice e moglie dell’imperatore Claudio. Di lei si narra che si prostituisse in un bordello, chissà, forse, solo per placare il suo appetito sessuale.
La differenza fondamentale tra chi seduce l’uomo che ama e quello che vuole solo portare a letto è l’amore, entità magica capace di trasformare anche la donna più morigerata in seduttrice esperta perché quando c’è l’amore ogni gesto diventa gioco innocente e pulito. 
Maria Giovanna Farina

mercoledì 23 gennaio 2019

Quando si diventa dipendenti

Disegno a matita di Flavio Lappo

L’amore è un farmaco potente, se rompe il muro del dolore da mancanza sa farsi terapia e liberare la persona amata dalla dipendenza emotiva. L'amore è libertà eppure può provocare dipendenza, può diventare una catena difficile da spezzare rovinando la relazione. Da magnifica forza vitale si può trasformare in zavorra capace di farci sprofondare in un mare nero portatore di angoscia. Come si esce dalla dipendenza? Mi chiede Laura, una giovane donna che mi ha mi scritto qualche tempo fa. Mi pone la domanda così, nuda e cruda, senza aggiungere particolari; comprendo che si sta riferendo ad un rapporto sentimentale caratterizzato da un legame dove un membro della coppia anche solo apparentemente, è più forte, evoluto, capace di proteggere l'altro che ha bisogno. Ecco la parola chiave: bisogno. La dipendenza si instaura se c'è un bisogno affettivo sopito, nascosto, apparentemente superato che trova terreno favorevole per venire alla luce quando nasce un amore. Generalmente sono le donne a diventare dipendenti da un uomo, per cultura l'uomo è forte, sa proteggere e piano piano, a volte senza rendersene conto, porta la compagna in uno stato di subordinazione. Nei casi peggiori la dipendenza conduce a far perdere la propria personalità, a lasciarsi annientare da una feroce gelosia. Maria Giovanna Farina

domenica 20 gennaio 2019

L'amore platonico

Disegno di Daniela Lorusso


Si parla di amore platonico per indicare una storia sublimata dove non avviene l’incontro dei corpi: da cosa deriva questa definizione?
Il termine platonico deriva da Platone, che considera la realtà divisa in mondo sensibile e in mondo delle idee. Quello che noi definiamo innamoramento per Platone è una “follia divina“, ossia un contatto col mondo eterno e perfetto delle idee. Attraverso l’amore noi abbiamo un incontro con la divina perfezione e vediamo la sua bellezza riverberarsi sul volto e il corpo di chi amiamo, ma col passare del tempo l’elevato pensiero platonico ha perso il concetto per cui l’amore attinge alle idee, oggi infatti le consideriamo solo fantasie senza contatto con la realtà.
L’amore platonico nella versione moderna è un amore solo sognato ma mai vissuto, è spirito, non corpo. Esso è una fantasia di grande amore perfetto. È capitato a tutti di sperimentarlo soprattutto nell'adolescenza e sappiamo quanto sia ricco di immaginazione. Svariate idee nascono da un amore platonico: come sarà intrattenersi con quella persona, come pronuncerà le parole d'amore, come bacerà.... sono gli interrogativi più frequenti. Se poi accade l'incontro, se si concretizza, esso, l’amore ideale, perde quasi sempre, purtroppo, il suo fascino e spesso l'attrazione amorosa si dissolve, svanisce: quella persona che tanto ci aveva fatto sognare ora non ci interessa più. Accade nella società attuale con gli amori conosciuti attraverso internet. Se poi avviene l'incontro reale, a volte è sufficiente che l'altro ci rivolga la parola per far cadere il sogno che tale doveva rimanere: il contatto reale ha la capacità di dissolvere tutto in pochi istanti. L'amore platonico è importante durante l'adolescenza perché fa galoppare l’immaginazione, al contrario nell’età adulta può diventare una fantasia che sostituisce l’amore vissuto concretamente. Ci sono donne che ne restando prigioniere ed incapaci di sperimentare relazioni amorose reali, vivono solo quelle immaginarie.
Del resto l’incontro reale è una caduta dall’Olimpo dell’ideale, è urtare violentemente contro un sogno che in pochi istanti svanisce per sempre. L’amore platonico abita nell’Iperuranio, una regione inaccessibile al corpo mortale.


sabato 19 gennaio 2019

Perché mi innamoro sempre di persone già impegnate?


Innamorarsi di chi non è libero potrebbe essere un alibi o forse c’è qualcosa di meno scontato? Possiamo scoprirlo…
Dimmi che mi ami, acrilico su tela di Flavio Lappo
Ci sono persone che si innamorano sempre della donna o dell'uomo di qualcun altro. Può capitare a chiunque, ma quando diventa una costante non è più un caso bensì una ripetizione ossessiva che fa male a tutti. Sappiamo quanto innamorarsi di qualcuno già impegnato sia una sventura per tutte le conseguenze che ne derivano, dall'impossibilità di una relazione vissuta giorno per giorno alla luce del sole fino al rischio continuo di essere scoperti dal partner ufficiale. Ma come mai mi continuo ad innamorare di persone impegnate? È la domanda ricorrente. La risposta: perché per te l'amore diventa eccitante se è un “furto”. Tutti da bambini abbiamo rubato un oggetto piccolo e insignificante: alzi la mano chi non lo fa fatto? Mi riferisco ad un'età in cui si è consapevoli che si sta rubando e ci si prepara all'azione. Giunti sul luogo del “delitto”, l'adrenalina sale, si prova un'ebrezza piacevole e allo stesso tempo timorosa, ma vinto ogni batticuore si allunga la mano. Quell'oggetto è nostro, se nessuno ci coglie in fallo e non viviamo la vergogna di sentirci ladri possiamo tranquillamente riprovarci. Nella maggior parte dei casi non si diventa rapinatori seriali e la soddisfazione di aver infranto le regole è sufficiente. Ma se l'appropriamento indebito diventa l'unica modalità di acquisto, ecco che ci trasformiamo in ladri e non sempre di oggetti...a volte di persone. Insomma, certi esseri umani riescono ad amare solo attraverso un’infatuazione competitiva. Certo è che una volta conquistato il bottino quasi sempre l'amore svanisce e la ricerca di una nuova preda diventa impellente. L’esito della vicenda è questa, una ripetizione dello stesso schema. Può apparire cinico considerare un essere umano come un oggetto da rubare, ma in questo particolare caso non si tratta di vero amore bensì di bisogno di avere un rivale da sbaragliare. Se questo nostro modo di amare non ci soddisfa più, diventa necessario fermarsi a riflettere per cercare la via d'uscita; nella nostra indagine non sottovalutiamo però il fatto che si potrebbe trattare anche di pigrizia: una relazione a tutti gli effetti è impegnativa, c’è la conduzione della casa, ci sono le feste comandate a cui partecipare e quindi ci accontentiamo di essere “l’amante”, l’altra donna, quella che non ha obblighi. Solo dopo averlo compreso possiamo trovare una risposta alla nostra domanda e, finalmente, provare ad innamorarci per davvero.
Maria Giovanna Farina


venerdì 18 gennaio 2019

Ti amo, una frase fatale



Raskòlnikov sta scontando la sua pena in Siberia, Sonja è vicina a lui, lo ha seguito fin lì e vive nella stessa città dove si trova la prigione. Ad un certo punto c’è la confessione del suo amore per lei che lo scrittore rielabora così:
Avrebbero voluto parlare, ma non potevano. Avevano le lacrime agli occhi. Tutti e due erano pallidi e magri, ma sui loro volti sbiancati dalla malattia splendeva già la luce di un futuro diverso, di una completa rinascita, di una vita nuova. Li aveva risuscitati l’amore: il cuore dell’uno, ormai, racchiudeva un’inesauribile sorgente di vita per il cuore dell’altro. Erano decisi ad attendere, a pazientare. … egli era rinato e lo sapeva, lo sentiva con certezza in tutto il suo essere rinnovato; e lei, lei non viveva che della vita di lui! …  Pensava a lei. Ricordò come l’aveva sempre tormentata, come aveva straziato il suo cuore; ricordò il suo visino pallido, smunto; ma quei ricordi non lo facevano più soffrire: sapeva con che amore infinito, ormai, avrebbe ripagato tutte le sue sofferenze.
La consapevolezza dell’amare non deve giungere necessariamente da una condizione così estrema, quando manca addirittura il tempo di amarsi, quando la vita potrebbe volgere al termine. La frase ti amo detta come rivelazione di verità è sempre fatale, non permette di tornare indietro per questo va pronunciata quando siamo certi di essere corrisposti; è però una dichiarazione da fare anche se fosse per amarsi solo poche ore. Sono gli opposti estremi a fornire nuova linfa: da un lato l’amore ci fa credere che durerà per sempre mentre dall’altro temiamo la sua fine.
Queste righe di Dostoevskij descrivono come il vero amore sappia creare il cambiamento, la previsione di un futuro che sta nascendo e che ci appare il migliore insieme alla certezza della potenza curativa dell’amare e dell’essere riamato. A noi rimane un suggerimento fondamentale per scorgere l’amore dell’altro, per accoglierlo come un dono prezioso della vita al di là delle parole. Le parole sono importanti ma non dimentichiamo mai il loro aspetto volatile e sfuggente, sono un flatus vocis, e anche Ti amo fa parte di questa legge universale.
Sono spesso le donne a lamentare questa lacuna verbale del loro partner, ma non sarà l’obbligo, nemico mortale dell’amore, a farlo decidere di aprire il cuore, bensì la libertà di sentirsi a proprio agio nella ricerca dei propri moti interiori. 
Maria Giovanna Farina

domenica 13 gennaio 2019

Dobbiamo riconquistare chi non ci ama più?


Quando ci innamoriamo ci si prospetta una vita nuova e può capitare che chi abbiamo amato con tutto il nostro cuore sia uscito dal progetto a due che era il nostro amore. Se uno di noi due non ama più l’altro non è più possibile essere la coppia che siamo stati, il progetto si sgretola, ma chi ama ancora non riesce ad accettare di essere rimasto solo. L’altro non ci ama più? Potrebbe essere un momento critico in cui la vita chiede di fare i conti, ma il più delle volte se il nostro partner dichiara di non amarci significa che il suo mondo è cambiato e lui o lei stia cercando un nuovo accordo con esso.
Come è possibile riconquistare chi non ci ama più diventa una domanda vuota di significato la cui risposta rischia di farsi pura vacuità. Voler entrare nel nuovo mondo che l’altro sta costruendo, ma non con noi, si presenta come un’azione impossibile: se il cambiamento si è messo in moto c’è la prova che non ci ama più e che senso avrebbe riconquistare un amore finito? Dovremmo essere in grado di uccidere il progetto nascente dell’altro con il risultato di essere addirittura odiati. Un’assurdità, un atto che ruba solo molta energia vitale.
Se per riconquistare vogliamo intendere riportare a casa l’uomo con cui siamo sposate, padre dei nostri figli, perché ciò è per noi il giusto ricongiungimento di una famiglia dilaniata dalla separazione, allora possiamo farlo consapevoli però che non sarà l’amore di coppia a tenerci uniti ma il dovere genitoriale. C’è sempre l’escamotage del sesso per catturare il nostro ex innamorato, ma anche qui sarebbe, qualora ci riuscissimo, una pura ginnastica senza passione, senza la fedeltà al progetto, che ci farebbe sprofondare, quasi sempre, nel baratro di un’amara sconfitta.

sabato 12 gennaio 2019

Casanova: la seduzione e l'amore





Se nell’immaginario Casanova è un amante capace di catturare l’animo femminile, diventa difficile non lasciarsi soggiogare dal suo stile da esperto seduttore capace di far sentire la donna al centro dell’universo. Purtroppo si confonde ancora la figura del seduttore veneziano con quella del Dongiovanni che è un personaggio letterario inventato; quest’ultimo è uno spregiudicato cacciatore di femmine incapace di gustare il singolo incontro con una donna. Ciò che muove Don Giovanni è il dominio, il piacere di sedurre, per poi schiavizzare e lasciare. Ben altro è Casanova che appare come un amante eccezionale esperto nell’arte dell’erotismo, capace di rendersi infinitamente desiderabile e di far capitolare anche le donne più refrattarie. Lui sa cogliere i punti sensibili di ognuna e su quelli lavora con sagacia finché ottiene i favori di colei che desidera.
Un interessante studio su questo singolare uomo del settecento lo ha fatto lo scrittore ungherese Sàndor Marài nel romanzo “La recita di Bolzano”, una sua versione della vicenda del noto Giacomo che si ferma, come è accaduto storicamente dopo essere uscito dal carcere dei Piombi, a Bolzano per alcuni giorni. Lì viene a sapere che risiede l’Unica, Francesca, la sola che ha amato ed ora è sposata con il conte di Parma. Finalmente sta per incontrare l’Unica: per lei il vecchio istrione veneziano accetterà il più difficile dei ruoli. Il marito di Francesca lo invita a sedurre e poi abbandonare la moglie perché sa che a lui basta una notte per dimenticare e a lei per rimanere delusa. Come scrive Màrai, nessuno meglio di Giacomo sa che “l’Unica rimane tale soltanto finché è ricoperta dai veli misteriosi e dai drappi segreti del desiderio e della nostalgia”. Cosi avviene l’incontro ma la previsione non si realizza, è Casanova lo sconfitto che come per una maledizione mai più si innamorerà.
Nella realtà quotidiana la donna, quando incontra Casanova, vive un’esperienza intensa ed appagante perché lui la amerà intensamente anche per pochi giorni. Casanova è un libertino “per sempre”, non troverà mai l’unica capace di farlo capitolare, ma la contrario di Dongiovanni non è dominato dal meccanismo che conduce alla conquista, alla vittoria, al dominio e poi ad un’altra conquista e ad un'altra ancora. Quando Casanova ama, ama davvero.
Maria Giovanna Farina

ANGOLI 10/1/2019: NON SONO UN OGGETTO! ANIMALI DA COMPAGNIA IN PRIMO PIANO

giovedì 10 gennaio 2019

Restare amici dopo il divorzio



Il fondatore di Amazon e la moglie divorziano, le borse ondeggiano, a noi potrebbe non importare nulla. Ciò che mi ha colpita è la dichiarazione “continueremo la nostra vita da amici” forse pronunciata dalla coppia per tenere tranquilla la finanza. Il cospicuo patrimonio in comunione, lui vale 137 miliardi di dollari, potrebbe essere diviso con la ex consorte a danno della società, ci sarebbe una diminuzione della liquidità perché la metà dei dollari andrebbero alla moglie e lui smetterebbe di essere il più ricco al mondo.
Davvero due che divorziano possono restare amici? Giusto mantenere rapporti equilibrati soprattutto per la presenza di figli, ma addirittura amici è forse troppo? Chi sono gli amici se non due persone che condividono interessi, esperienze, donandosi all'altro senza volere qualcosa in cambio?
L'amicizia nasce su un progetto comune, forte nell'infanzia-adolescenza quando il progetto è la crescita, solida anche da adulti dove i progetti si possono individuare nella quotidianità e diventare condivisioni ad esempio di battaglie politico-sociali, ma anche semplicemente viaggiare o praticare uno sport. Una peculiarità dell'essere umano è il bisogno di essere amato e l'amico ti dà quell'amore fraterno senza implicazioni sessuali e senza il rischio di sofferenze legate al tradimento. Un amico ti può tradire in altri modi, magari rivelando qualcosa della tua vita che doveva rimanere segreta e allora non si è mai sicuri della fedeltà e quando c'è di mezzo l'amore il rischio della sofferenza è sempre dietro l'angolo.
Cicerone diceva “L'amicizia è superiore a tutte le cose perché dona speranza e non fa piegare l'uomo dinnanzi al destino. Guardare un amico è come rimirare se stessi”. Nel caso dei divorziati diventa difficile il rispecchiamento che ricondurrebbe inevitabilmente al ruolo di ex coniugi, rivedersi nell'altro rinnovati nel nuovo ruolo non è così facile. Va bene, lo si farebbe per i figli, ma non dimentichiamo che farlo per loro vuol dire impegnarsi a volersi bene davvero: le finzioni sentimentali uccidono la crescita e l'educazione sentimentale ne soffrirebbe irrimediabilmente.
Maria Giovanna Farina - Riproduzione riservata©


martedì 8 gennaio 2019

Si può smettere di amare un figlio?


Il 7 gennaio leggo sul Corriere della sera una notizia molto particolare. Un uomo d'affari inglese di 55 anni scopre dopo vent'anni di non essere il vero padre dei suoi tre figli: i medici hanno scoperto che è sterile. L'uomo reagisce chiedendo la restituzione di 4 milioni dati alla ex moglie per il divorzio mentre i rapporti con i figli si deteriorano. Lui si sente derubato di un pezzo importante della sua vita.

Possiamo immaginare lo choc, essere traditi dalla consorte e in più scoprire di non essere padre. Uscendo dal caso singolo, è interessante interrogarsi sull'essere genitore. Chi lo è, il padre biologico o quello che ha cresciuto il bambino condividendo con la madre gioie e dolori della crescita? Una domanda che ci si pone da sempre alla quale però ognuno ha fornito le proprie risposte, a seconda del punto di vista personale. L'argomento si intreccia con l'adozione. Tanti genitori adottivi dichiarano di provare lo stesso amore, la stessa dedizione avvertita per i figli biologici ed affermano che essere genitori è una condizione umana unica e non negoziabile.
Essere madre significa dare senza chiedere nulla in cambio, vuol dire amare senza condizioni i propri figli. Essere padre è la stessa cosa? Se adottiamo un figlio dovrebbe essere la stessa cosa, il padre non partorisce mai e quindi dovrebbe vivere l'amore per il figlio al di là della biologia. Per una madre adottiva la questione è diversa, il bambino che arriva a casa non è cresciuto nel suo grembo, non lo ha partorito, ma l'istinto materno femminile la conduce presto a affezionarsi al figlio adottivo. Ma allora come la mettiamo con i detti popolari che ci suggeriscono che il sangue non è acqua e quindi che la “voce dei geni” è capace di sussurraci l'amore per i figli. Già, però ci sono genitori biologici incapaci di amare i propri figli... e allora ritorniamo al punto di partenza senza aver trovato una risposta universale al nostro quesito iniziale.
Ognuno può riflettere attorno a questo dilemma, nel frattempo credo di poter concludere affermando che l'amore è una forza potente capace di sfidare ogni avversità e al di là della genetica, della biologia e della convenzione, se ami un figlio e dopo anni scopri che non è frutto del tuo seme non puoi smettere di amarlo. Per tornare al caso dell'uomo d'affari inglese, non si può cancellare un sentimento per un piccolo particolare, a meno che il figlio si considera soltanto un mezzo per mostrare la propria fiera virilità.
Maria Giovanna Farina

domenica 6 gennaio 2019

Differenza tra amicizia e amore


Nel romanzo Narciso e Boccadoro Hermann Hesse racconta il bisogno di sentirsi dichiarare l'amore. In questo contesto ciò è relativo all’affetto amicale, i due interpreti sono amici e così Bocccadoro racconta il senso del loro rapporto:” Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro ma di conoscer l’un l’altro e di imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro complemento”. Ed è attraverso la conoscenza di sé che l'amicizia può consolidarsi fino alla libertà di esprimerne il proprio sentimento: “Narciso si chinò lentamente verso di lui e fece quello che in tanti anni della loro amicizia non aveva mai fatto, sfiorò con le sue labbra i capelli e la fronte di Boccadoro. Questi si accorse di ciò che accadeva, prima con stupore, poi con commozione. - Boccadoro, perdonami di non averlo saputo dire prima - gli sussurrò all'orecchio”.
Sentire e dichiarare l’amore è un bisogno di sicurezza che nasce dal desiderio di esclusività; il grande amore non è lineare ma è fatto di incontri, ha una struttura ondulatoria e questa instabilità rende naturale il volere essere rassicurati dall’altro sul suo amore per noi. L’amicizia invece, seppur richieda affetto, sincerità e dedizione, non pretende l’esclusività: se nell’amicizia dichiarare l’amore è auspicabile e bello, nel grande amore è un passaggio fondamentale e ineludibile. Il rapporto amicale narrato da Hesse può apparire vicino alla relazione omosessuale: i due amici sono dello stesso sesso e ciò che vivono è un rapporto affettivo intenso che culmina con un contatto fisico. Nell’adolescenza è naturale esplorare questa linea di confine dove l’eterosessualità incontra e conosce l’omosessualità, non bisogna aver nessun timore, se prevale la componente etero l’esperienza rimane solo un arricchimento di sé utile per vivere con maggiore consapevolezza il proprio orientamento. Tutto cambia se è l’omosessualità a prevalere, in questo caso diventerà rivelare a se stessi la propria vera natura.


mercoledì 2 gennaio 2019

Meglio soli che...



Il ponte delle sirenette, acquarello di Daniela Lorusso
Coltivare la solitudine, fin dalla giovane età: questo sarebbe un bellissimo esercizio filosofico ed emotivo”. Così mi scrive Lucilla.
Questa considerazione mi ha fatto riflettere sul senso della solitudine e al contempo sulla nostra capacità di stare in coppia. Dobbiamo accontentarci di un amore qualsiasi? Meglio di no, questo accettare ci condurrebbe ad una solitudine interiore difficile da gestire. Accettare un amore qualsiasi col timore di non trovare il meglio, per paura di rimanere soli, convinti di non essere in grado di incontrare il partner più soddisfacente… sono tutti comportamenti che remano contro una vita gratificante. Meglio rischiare, ferirci per capire i nostri errori, per comprendere che la persona che abbiamo amato non era adatta a noi, meglio provare il dolore, superarlo per poi ri-nascere, che vivere nell'apatia. Che vivere in uno stato di finto equilibrio sperando di essere al riparo dalle delusioni.
Le delusioni ci rincorreranno ugualmente e saranno frustrazioni per il nostro essere frenati dalla paura, piuttosto che dolenti per colpa di un partner che ha smesso di amarci. Allora sì, è meglio imparare a vivere da soli, impararlo fin da piccoli per non cercare l’altro solo per riempire i nostri vuoti, per non usarlo come narcotico delle nostre paure. Chi sperimenta la solitudine impara ad essere autosufficiente e per questo possiede qualche chance in più per stare bene in due. Vivere bene da soli significa imparare a stare bene con sé stessi, ad essere felici per piccole situazioni quotidiane senza dipendere da qualcuno: la nostra vita non può diventare un’altalena che va su e giù seguendo l’umore di qualcun altro.
Forse questo obiettivo è difficile per molti, per quelli che solo in coppia si sentono completi, socialmente accettabili, a loro dico: impara a vivere bene in solitudine, ciò ti preparerà a vivere meglio con l’amore quando lo incontrerai. Libero dal bisogno, sarai pronto a cambiare e quindi in grado di accogliere Eros.
Maria Giovanna Farina





martedì 1 gennaio 2019

Amore e ottimismo

Disegno a pastelli, Ottimismo e amore, di Flavio Lappo, 2011

L'ottimismo è uno studio su se stessi e su gli altri. Sì, è anche questo: lo analizzo e lo sviluppo da anni anche attraverso l'arte. Il disegno del pittore Flavio Lappo con i suoi colori pastello intensi, che sanno riempire l'immagine con determinazione, i tratti dell'opera, le sue proiezioni mi fanno guardare al futuro. Un tempo che stiamo per rincorrere e che ci rincorre quasi a non lasciarci momenti di attesa. In realtà il disegno ci infonde sicurezza, le sue linee curve e dritte, le gocce di colore sono perdita di energia ma allo stresso tempo marcano la presenza della vita. L'artista rappresenta i pensieri con stile prettamente onirico dove molte idee si intersecano, ci lascia intravedere sullo sfondo, che è anche contemporaneamente punto di origine di tutto, la riuscita positiva del percorso. Osservando percepisci quanto la meta sia raggiungibile con sicurezza nonostante le difficoltà in cui siamo immersi. In generale le opere di Lappo sono oniriche e nella dimensione del pensare notturno, che è soprattutto un immaginare attraverso paragoni con la realtà, ognuno può trovare quella strada che riporta all'origine. La città, che si intravede nel disegno nella sua essenza abbozzata, è ciò che ci protegge e a cui desideriamo ritornare sempre, soprattutto quando il bisogno di amore si impone. Saper sfruttare il patrimonio d'amore che possediamo nell'anima, è ottimismo perché è mettere a punto le nostre risorse migliori certi che saranno vincenti. È l'ottimismo nato dall'amore che qualcuno di importante ci ha donato: la mamma.